giovedì 26 febbraio 2015

Gestire il cambiamento

Il cambiamento piace a tutti. Un vestito nuovo, un piatto nuovo, un libro nuovo sono aspetti della vita che ci fanno piacere. A volte lavoriamo e risparmiamo (tempo e denaro) per quella cosa nuova che tanto desideriamo (che può essere anche immateriale come un viaggio, un concerto o una pedalata in bicicletta). Ma esistono anche cambiamenti che non ci piacciono: il licenziamento, una delusione amorosa, una perdita. Nessuno che gioirebbe per una promozione gioirebbe anche per un licenziamento, eppure sono entrambe forme di cambiamento.

La reazione al cambiamento varia però da situazione a situazione e da persona a persona ed è influenzata da tanti elementi. Noi conosciamo i nostri limiti, e sappiamo in qualche modo gestirci. Un lavoro difficile lo affrontiamo invece quando dobbiamo gestire il cambiamento che interessa altri. A volte diamo loro la colpa di una scarsa ricettività al miglioramento, quindi il lato buono del cambiamento, che abbiamo imposto. Il cambiamento che per alcuni può essere rapido e indolore per altri può rivelarsi fonte di stress. 

Pensiamo a quando è stato introdotto l’euro in sostituzione della lira: quanto tempo era necessario inizialmente per riconoscere le nuove monetine al momento di dover pagare un caffè al bar? Ora la stessa attività ci viene facile, ma solo perché si è acquisita dimestichezza con la moneta in circolazione, ma a suo tempo per molti è stato un vero e proprio stress gestire la nuova valuta.

Si traporti l’esempio nella realtà aziendale: per il lavoratore di una certa età, che ha imparato a usare il computer e i programmi installati con difficoltà e impiegando del tempo, la semplice sostituzione del software per la gestione della posta elettronica può costituire una fonte di disagio. E se da quel lavoratore, nel periodo in cui sta ancora apprendendo l’uso del nuovo software, si pretendesse la stessa rapidità di esecuzione del lavoro che aveva utilizzando il vecchio programma non si andrebbe ad aumentare ulteriormente il suo stress rischiando anche di fargli commettere errori nell’invio di qualche email?

L’esempio appena illustrato, che può sembrare banale, rappresenta una realtà purtroppo presente in molte aziende e di cui si tiene scarsamente conto. Vi siete mai trovati in una situazione simile? L'abbiamo liquidata forse con una critica alle capacità del nostri collaboratore? Non era forse meglio gestire il cambiamento con una formazione mirata e una transizione il più indolore possibile? 

Se dovesse capitarci un altro fatto come quello dell'esempio, pensiamo a quando contavamo le monetine di euro per il caffè e a come siamo diventati bravi e rapidi ora: essere positivi è il primo passo per affrontare anche il più grande dei problemi. Impariamo a gestire, e non a subire, il cambiamento.

martedì 17 febbraio 2015

Comunicazione e sicurezza - lezione 3

Come si possono correggere comportamenti errati in maniera efficace? 

Innanzi tutto si noti la formulazione della domanda: noi preposti dobbiamo correggere comportamenti errati e non criticare le persone che li hanno commessi. La critica è rivolta alla persona, la correzione è rivolta al comportamento. “Tu non capisci” è una critica rivolta alla persona, “Questo lavoro è sbagliato” è invece una frase riferita al compito svolto. La critica rivolta alla persona mette in condizione di concludere “io sono fatto in modo sbagliato”. La correzione di un comportamento invece sortisce l’effetto contrario, e il destinatario sarà portato a dire “posso migliorare!”. Nessuno apprezza le critiche, mentre potrebbe essere più disposto ad accettare correzioni di azioni sbagliate. Gli esperti del settore suggeriscono di adottare la tecnica del sandwich, che si compone di tre fasi come un sandwich è composto da tre strati: pane, ripieno e altro pane. I tre passaggi della correzione efficace sono:
1. APPROVAZIONE
2. CORREZIONE
3. APPROVAZIONE

Come possono essere sviluppate queste tre fasi?
Iniziando con un messaggio di approvazione per il lavoro svolto mettiamo in evidenza che la persona a cui ci rivolgiamo è comunque una risorsa capace e importante per l’azienda. Correggiamo poi il comportamento errato, dando indicazioni su quale sia quello corretto da tenere e non solo annotando quanto ci sia di negativo. Il preposto, in virtù delle sue competenze professionali, deve essere capace di mostrare il modo corretto di operare. Infine concludere con una frase di approvazione che fornisca uno spunto positivo e inviti all’azione e non alla passività.

Una frase del tipo “hai sbagliato tutti i pezzi” non è efficace. Prima di tutto, i pezzi sbagliati non possono essere tutti. Saranno il 10%, il 30%, il 50%? Di certo non sono tutti, anche se sono tanti. Inoltre alla persona cui ci rivolgiamo e alla nostra azienda non serve solo sapere che ha sbagliato a produrre dei pezzi, ma serve piuttosto sapere come produrre pezzi in modo corretto!

“Alcuni dei pezzi che hai realizzato non sono corretti, sono sicuro che se seguirai questa procedura d’ora in poi li realizzerai tutti in modo corretto” vuol dire la stessa cosa ma suscita una reazione del tutto diversa e non demoralizza il nostro interlocutore.

Abbiamo affrontato alcuni semplici e basilari temi che possono rendere più efficace la nostra comunicazione, e abbiamo sperimentato come sia vero che una comunicazione efficace massimizzi gli effetti delle situazioni positive e minimizzi quelli delle situazioni negative. Proviamo ad applicare, se già non lo facciamo, alcuni di questi consigli e monitoriamone l’effetto: abbiamo notato un miglioramento, anche piccolo? Come disse lo scrittore Mark Twain “il segreto per andare avanti è iniziare”. E allora iniziamo!


domenica 15 febbraio 2015

Comunicazione e sicurezza - lezione 2

Dobbiamo individuare i tre assiomi della comunicazione, ovvero:
1) “Non si può non comunicare” Ogni comportamento è comunicazione
2) “Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione” L'aspetto di relazione classifica l'aspetto di contenuto
3) “Si comunica a livello verbale para-verbale e non-verbale” L’aspetto di contenuto è rappresentato principalmente dal livello verbale, l’aspetto di relazione è veicolato principalmente dai livelli paraverbali e non verbali

Partiamo dal primo assioma: ogni comportamento è comunicazione. Il bambino che si rintana nell’angolo in silenzio sta comunicando che non si sente apprezzato dal gruppo, anche se non apre bocca comunque sta mandando un messaggio. Il preposto che non richiama un collega che viola un’evidente regola di sicurezza (per esempio non indossa un DPI prescritto) sta mandando un messaggio a quel collega e a tutti gli altri: “non ritengo importante che si utilizzino i DPI”. Magari non è quello che il preposto pensa davvero, ma è quello che gli altri capiscono. Ogni comportamento è comunicazione e anche non comportarsi è una comunicazione, spesso una comunicazione negativa.

Il secondo assioma ci ricorda che ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto (quello che diciamo) e uno di relazione (come lo diciamo). È importante che i due aspetti siano in sintonia. Una madre chiama il proprio figlio dicendogli “vieni qui” e allargando le braccia e mostrando un volto sorridente. Un poliziotto insegue un ladro in fuga dicendogli “vieni qui”, ma di sicuro non con fare sorridente e amichevole. L’aspetto di contenuto è lo stesso in entrambi i casi, ma l’aspetto di relazione modifica il significato del messaggio. Così in azienda quando vengono date istruzioni e procedure si deve sempre stare molto attenti che contenuto e relazione siano coerenti. Possiamo obbligare i nostri colleghi a utilizzare i DPI obbligatori se noi preposti, mentre li riprendiamo perché non li indossano, non li indossiamo a nostra volta? L’aspetto di contenuto potrebbe essere “indossa le scarpe antinfortunistiche” ma l’aspetto di relazione, se noi non le indossiamo, potrebbe invece far passare il messaggio contrario. L’esempio nel rispetto delle regole e delle procedure è un’arma importante per il preposto che vuole essere ascoltato e considerato come un soggetto autorevole in materia di sicurezza.

Infine il terzo assioma ci ricorda che si comunica con le parole (linguaggio verbale) ma anche e soprattutto con linguaggio paraverbale (come parliamo) e non verbale (i gesti e le espressioni del viso). A seconda della nostra provenienza culturale potremmo essere portati a gesticolare in modo più o meno ampio e a rivolgerci agli altri in determinati modi o con toni della voce molto alti o molto bassi. È importante, se vogliamo migliorare la nostra comunicazione, che prestiamo attenzione a questi aspetti. Siamo nelle condizioni di dover correggere un lavoratore che sta commettendo una violazione delle regole di sicurezza? Evitiamo urla e strilli davanti al gruppo, ma rivolgiamoci a lui personalmente, risparmiandoci battute o commenti che non sono necessari perché non aggiungono nulla al messaggio che vogliamo dare e in più potrebbero avere effetti controproducenti. Il lavoratore oggetto di aperta critica davanti ad altri potrebbe non ascoltare nemmeno quello che abbiamo da dirgli, ma semplicemente pensare alla brutta figura che sta facendo. Non era ovviamente nostra intenzione, ma una condizione di questo tipo è negativa e deve essere evitata.

Come si possono correggere comportamenti errati in maniera efficace?

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giovedì 12 febbraio 2015

Comunicazione e sicurezza - lezione 1

Nella mia attività editoriale e di formazione mi trovo spesso a parlare di comunicazione efficace non al classico uditorio di commerciali o manager, ma a preposti, dirigenti e datori di lavoro che spesso non hanno mai affrontato questi argomenti in ambito professionale perché non ne hanno mai sentito il bisogno. Dovendo riordinare le idee per un progetto ho pensato di pubblicare in 3 parti un estratto che affronta le tecniche di comunicazione efficace per il preposto (il capo-cantiere, capo-turno, capo-reparto, ecc). Un punto di vista diverso, finalizzato non alla vendita di un prodotto ma all'acquisizione di competenze e di sensibilità in materia di sicurezza e salute sul lavoro. Buona lettura!


Perché parlare di comunicazione in un corso per preposti? Abbiamo appena finito di analizzare obblighi, compiti e responsabilità che competono alla figura del preposto e tutto quanto visto finora ci ha portati a concludere come il suo ruolo sia fondato su aspetti relazionali. Correggere comportamenti errati, chiedere il rispetto di determinate regole e segnalare ai superiori le violazioni dei colleghi può non essere facile soprattutto in ambienti in cui il rapporto umano potrebbe portare a essere indulgenti (con se stessi e con gli altri). La comunicazione errata potrebbe addirittura portare a scaldare gli animi e inasprire i rapporti tra colleghi, ed è proprio quello che vorremmo evitare promuovendo un’atmosfera cordiale e serena sul luogo di lavoro.

Concentriamoci allora su alcuni punti che possono aiutarci a migliorare la nostra comunicazione, perché non dimentichiamo che la comunicazione efficace è in grado di minimizzare gli effetti di una situazione critica e massimizzare i benefici di una situazione positiva. Sia che si tratti di eventi piacevoli o spiacevoli la comunicazione efficace si rivelerà essere in ogni caso un ottimo strumento.

La comunicazione si svolge sempre tra un emittente e uno o più riceventi. Come il lanciatore che tira la palla al ricevitore, così l’emittente invia un messaggio, che ha un contenuto proprio, al ricevente. L’ambiente in cui si svolge questo scambio si chiama contesto. Ovviamente i ruoli si possono scambiare, infatti chi era ricevente può diventare poi emittente e così via durante tutta la conversazione. Il messaggio è un codice e come tutti i codici deve essere codificato dall’emittente e decodificato dal ricevente. Forse ci è capitato ancora di assistere a una conversazione tra due persone che parlavano tra di loro in una lingua a noi sconosciuta. Noi, da ascoltatori e quindi da riceventi, non eravamo in grado di comprendere nulla di quel messaggio. Forse intuivamo qualcosa dai gesti e dalle espressioni, ma il senso del messaggio e i dettagli ci sfuggivano. Dove era il problema? Forse quella persona non si esprimeva bene nel suo linguaggio? Non si direbbe visto che il suo interlocutore sembrava comprendere benissimo il discorso. Il problema era nella nostra incapacità di decodificare il loro messaggio, il loro codice. Molto spesso noi ci esprimiamo con il nostro codice, che viene quindi codificato nella nostra mente, e ci aspettiamo che il nostro interlocutore lo decodifichi nello stesso modo. Non sempre accade, e quando ci sono incomprensioni non dobbiamo in maniera sbrigativa attribuire le colpe al nostro ricevente. Se la palla non viene presa dal ricevitore, forse potrebbe essere che noi l’abbiamo lanciata male? Poniamoci allora la domanda “avrò comunicato bene?” e riproviamo: lancio migliore, presa certa. Miglioriamo la nostra comunicazione e miglioreremo la comprensione che le persone avranno di noi e di quello che vogliamo dire loro.

Dobbiamo individuare i tre assiomi della comunicazione, ovvero:

1) “Non si può non comunicare” Ogni comportamento è comunicazione

2) “Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione” L'aspetto di relazione classifica l'aspetto di contenuto

3) “Si comunica a livello verbale para-verbale e non-verbale” L’aspetto di contenuto è rappresentato principalmente dal livello verbale, l’aspetto di relazione è veicolato principalmente dai livelli paraverbali e non verbali

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