Intervista
del ministro del Welfare al Wall Street Journal: "L’attitudine della gente
deve cambiare; il lavoro non è un diritto, va guadagnato, anche con il
sacrificio". E scoppia subito la polemica.
Il ministro ha cercato poi di precisare il senso delle sue parole (così
nell'originale: «We're trying to protect individuals not their jobs.
People's attitudes have to change. Work isn't a right; it has to be earned,
including through sacrifice»): «Il diritto al lavoro non è mai stato messo
in discussione come non potrebbe essere mai visto quanto affermato dalla nostra
Costituzione. Ho fatto riferimento alla tutela del lavoratore nel mercato e non
a quella del singolo posto di lavoro, come sempre sottolineato in ogni
circostanza».
E se dicessi che sono d'accordo nella sostanza anche se non molto
nella forma?
Il diritto al lavoro è un sacrosanto diritto costituzionale, è vero. Ma non
può essere vero nel mondo reale che tutti, i menefreghisti come i diligenti, i
lavativi come gli onesti, i furbetti come gli affidabili abbiamo diritto a
mantenerlo.
Passatemi il paragone: l'istruzione è un diritto, ergo tutti laureati? Non
è possibile, perchè non tutti ne hanno le capacità o il desiderio. Lo Stato
deve garantire l'accesso all'istruzione, poi il singolo deve fare la sua parte.
Così accade nel mondo del lavoro: lo Stato tutela i diritti dei
lavoratori e garantisce un sistema economico sostenibile, ma sono poi i singoli
che devono darsi da fare. Altrimenti fermiamo quella che da millenni è la
spinta propulsiva del progresso dell'umanità: il desiderio di far meglio e di
ottenere un risultato.
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